I dazi di Trump e la rappresaglia di Xi, è di nuovo guerra commerciale?. Adnkronos – ultimora

(Adnkronos) – Pechino non resta ferma davanti alla decisione di Trump di porre dazi aggiuntivi del 10% sui prodotti cinesi importati negli Stati Uniti. Ma manda una risposta che, secondo molti osservatori, è “più simbolica” che altro. La rappresaglia cinese colpisce il settore dell’energia, delle auto, arriva con “contromisure” che prendono di mira singole aziende americane e con una stretta sulle esportazioni di metalli e metalloidi, oltre a un’indagine antitrust contro Google. Sembra l’inizio di un nuovo round della guerra commerciale tra le due potenze. Quella in cui, ripetono da tempo i cinesi, “non ci sono vincitori né vinti”.  

Il leader cinese Xi Jinping, che non fa mistero delle sue ambizioni di una Cina alla guida di un ordine mondiale alternativo, potrebbe vedere persino un’opportunità, evidenzia la Bbc, sottolineando come le contromisure cinesi, tutte mirate, siano limitate nella portata rispetto ai dazi decisi da Trump, come l’impatto sugli Usa possa essere limitato. Gli Stati Uniti sono il principale esportatore di Gnl al mondo, ma riguarda la Cina circa il 2,3% di queste esportazioni e il grosso delle importazioni di auto arriva da Europa e Giappone. Così, secondo la rete britannica, potrebbe trattarsi di un modo per guadagnare un po’ di potere contrattuale in vista di eventuali colloqui, anche se esiste comunque il rischio di una guerra commerciale più vasta fatta di rappresaglie. 

La rete britannica sottolinea come molto sia cambiato dalla prima Amministrazione Trump, come l’economia cinese non sia più dipendente dagli Stati Uniti, come era nel 2020, come Pechino abbia rafforzato gli accordi con gli ‘amici’ in Africa, in America Latina e nel Sudest asiatico. E, rimarca la Bbc, mentre le mosse di Trump seminano divisione, con la minaccia di colpire persino l’Ue con i dazi, la Cina vorrà apparire calma, stabile e forse anche un partner commerciale più attraente. 

La risposta cinese ai nuovi dazi “è una mossa più che altro simbolica”, secondo Louise Loo di Oxford Economics, che – come riporta il Wall Street Journal – ritiene probabile ulteriori round di dazi. La risposta cinese sembra voler tenere ‘in panchina’ “misure che potrebbero provocare un danno più importante agli scambi commerciali” tra le due potenze, scrive il New York Times. “Si tratta di una risposta relativamente limitata, che interessa non più del 30% delle esportazioni Usa in Cina”, conviene Bert Hofman, con un passato alla Banca Mondiale e ora docente all’East Asian Institute della National University of Singapore. Anche perché, è il ragionamento, probabilmente i cinesi si tengono pronti poiché “questo potrebbe essere solo il primo passo dell’Amministrazione Trump”. 

In questo contesto, secondo Yun Sun, direttore del programma Cina dello Stimson Centre, con “la politica ‘America First’ di Trump”, che “porterà sfide e minacce per tutti i Paesi nel mondo”, dal “punto di vista della competizione strategica Usa-Cina, un peggioramento di leadership e credibilità statunitense andrà a vantaggio della Cina”. 

E, come dice alla Bbc John Delury, docente alla Yonsei University di Seul, “la combinazione di dazi contro i principali partner commerciali e il blocco degli aiuti all’estero mandano al Sud Globale e all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico il messaggio che gli Usa non sono interessati alla collaborazione a livello internazionale”. Così, “il messaggio di Xi sulla globalizzazione ‘win-win’ assume un significato completamente nuovo mentre l’America fa un passo indietro”. 

Tuttavia, evidenzia Chong Ja Ian di Carnegie China, “molti alleati e partner degli Usa, soprattutto nel Pacifico, hanno motivi per lavorare con Pechino, ma hanno anche ragione per essere prudenti”. E per questo, osserva, “abbiamo visto avvicinarsi Giappone, Corea del Sud, Filippine e Australia”. Ci sono i timori per l’assertività cinese nel Mar cinese meridionale, ma anche per Taiwan, isola di fatto indipendente che Pechino considera una “provincia ribelle” da “riunificare” e che è uno dei ‘temi caldi’ nei rapporti tra Washington e Pechino. 

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Pubblicato da Giorgio Consolandi

Giorgio Consolandi – Romano di nascita, apolide per istinto. Impegnato ideologicamente per il sociale, sento forte da sempre il dovere del perseguimento della giustezza e la difesa dei deboli. Contrasto con ogni mezzo i soprusi, sebbene consapevole che il concetto di società perfetta, rimarrà utopico. Ateo, perché rifiuto il concetto di creatore, pongo l’uomo al centro dell’universo e lo rendo responsabile delle sue scelte. Mi interesso di politica poiché credo sia necessaria una visione ampia di tutte le attività umane e della regolamentazione di esse, sono tuttavia consapevole della fallibilità e dell’imperfezione della politica, più che disilluso, continuo ad essere un sognatore, e lotto perché i sogni si concretizzino. La scrittura come forma espressiva del pensiero ed il pensiero come strumento motore della scrittura mi inducono a raccontare le mie analisi personali, le critiche, le esaltazioni, le allucinazioni ed i miraggi che la vita mi infligge senza compassione e senza chiedere permesso. Se cade il mondo io non mi sposto, cerco invece, in un esercizio vano e disperato, di trattenerlo ancorato alla logica ed alla ragione, al sentimento ed all’amore, ma sono sempre più solo. Sostengo ed attuo la difesa degli animali, la loro tutela contro inutili sofferenze ed abusi. Sono figlio degli anni ’60 e ne porto addosso le emozioni e le pulsioni che la mia generazione ha ricevuto. Ho coscienza di far parte di un segmento storico, giudicato con impietosa severità da chi ci succede. La mia generazione ha prodotto contraddizioni morali, etiche, religiose e anche sociali, ma ha determinato la crescita del Paese. I miei J’accuse sono sassi gettati nel lago, lo so che qualcuno è sempre pronto ad accodarsi alla lotta, ne sono convinto!