Riace, il sindaco fa rimuovere il cartello contro la mafia

Deve essere cacciato via da Riace anche Peppino Impastato. Così deve aver deciso il sindaco leghista Tonino Trifoli (non è un nome di fantasia, si chiama proprio così).

Il solerte e attivissimo primo cittadino si era già prodigato per far sparire un altro cartello, quello che recitava: “Riace, paese dell’accoglienza”…. Accoglienza un cazzo, deve aver pensato il figlio del Carroccio, così lo ha sostituito con uno dedicato ai Santi Martiri Damiano e Cosma (quest’ultimo ribattezzato Cosimo dall’amministrazione comunale…). Poi successivamente il buon Trifoli ha deciso che fosse opportuno anche togliere di mezzo un altro cartello, quello legato all’esperienza di Mimmo Lucano. E se al sindaco stava sulle palle il cartello sull’accoglienza, appare comprensibile, secondo la sua logica, che gli procurasse orticaria anche quello di Lucano.

Insomma stavolta la “correzione” di immagine a ispirazione leghista ha usato la forbice contro il giornalista ed esponente di Democrazia proletaria di Cinisi, ucciso il 9 maggio 1978 per le sue denunce contro Cosa Nostra.

Vabbeh diciamola tutta, un cartello che raffigura un ragazzino di colore che indossa una maglietta rossa di Radio Out recante la scritta: “Uno, due, tre, quattro, cinque, dieci… cento passi” è davvero una rottura di coglioni per un’amministrazione così tanto vicina alla destra populista e sovranista. Il partito di Tonino Trifoli alle ultime elezioni, tanto per dirne una, aveva candidato Claudio Falchi, il segretario locale della Lega, che però si è dovuto dimettere perché nel 2003 è arrivata la condanna a due anni per bancarotta fraudolenta.

Ma perché fece togliere il cartello di Mimmo Lucano? che noia dava una scritta di pace? Mimmo Lucano, nel corso della sua amministrazione non ha certo mai fatto mistero della sua vicinanza agli ideali di Peppino Impastato, e proprio per sottolineare questo aveva voluto far istallare quel cartello che in qualche modo suggeriva il legame tra il “Modello Riace” e le lotte politiche di Cinisi. Era stato collocato ad evidente visibilità, proprio sotto l’insegna “Riace, paese dell’accoglienza”, all’ingresso del piccolo paese calabrese, davanti alla stazione locale dei Carabinieri.

Intanto a Riace, l’attesa in questi giorni è per la decisione del Tribunale di Locri in merito all’ineleggibilità del sindaco Trifoli.
Meno di una settimana fa infatti, nell’udienza, la prefettura e il ministero dell’Interno hanno fornito motivazioni sul fatto che Trifoli non avrebbe potuto nemmeno candidarsi, poiché dipendente del Comune. Ora i giudici dovranno stabilire se il percorso del primo cittadino debba interrompersi qui.
Il rischio ulteriore è che la Procura di Locri possa configurare dei profili penali non solo sulla richiesta di aspettativa per motivi elettorali (che non poteva essere formulata proprio perché dipendente a tempo determinato), ma anche nell’ambito della proroga che, pochi giorni dopo le elezioni comunali “il dipendente Trifoli” ha chiesto “con osservanza” al sindaco (cioè a sé stesso) e naturalmente concessa.

Trifoli chiede a se stesso qualcosa, e poi dopo attenta valutazione, Trifoli se la concede! Ma è geniale! Quest’uomo è un vero esempio di paraculaggine politica. Non si può condannare, deve essere portato in giro per le sagre dei paesi e mostrato con orgoglio agli astanti stupiti.

Intanto cosa sta succedendo a Mimmo Lucano, il sindaco dell’accoglienza? Beh, intanto una delle accuse è caduta, era stato accusato dalla Guardia di finanza e dall’Agenzia delle Entrate di essere un evasore fiscale. Ma la Commissione Tributaria ha stabilito che non solo non è vero ma ha anche condannato la Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate a pagare 10 mila euro di spese legali al Comune di Riace.
La vicenda verteva sulle prestazioni e sui servizi forniti dall’amministrazione Lucano nel 2011 nell’ambito del “progetto di accoglienza dei migranti”.
Cosa era successo? Il Comune aveva applicato l’Iva al 4% esattamente come era previsto e indicato dalle convenzioni per l’emergenza del Nord Africa. Il 30 dicembre del 2016 però, dopo cinque anni, è arrivata la notifica di accertamento per 324 mila euro dell’Agenzia delle Entrate, al fine del recupero della differenza dell’Iva. Tutto questo però l’Agenzia delle Entrate lo aveva fatto in maniera difforme dalle indicazioni del ministero delle Finanze e dalla stessa Centrale dell’Agenzia delle Entrate.

Per comprende meglio quanto accaduto: se gli altri Comuni impegnati nell’emergenza Nord Africa hanno applicato l’Iva al 4%, Riace avrebbe dovuto calcolare l’aliquota Iva al 20 e al 21% per i servizi per gli immigrati.
Mimmo Lucano ha sempre evidenziato questa discrepanza contestandola e finalmente ha ottenuto la ragione dalla Commissione Tributaria, la quale ha stabilito che 324 mila euro sono un’imposizione non solo “non esigibile, ma neanche fondata”. Un epilogo che appariva ovvio fin dall’inizio e che tuttavia ha scatenato una levata di scudi contro l’ex sindaco. Viene anche qui in soccorso il ragionamento: come può non accorgersi che gli altri Comuni “battono” un’Iva diversa, chi muove l’accusa di evasione fiscale? Dobbiamo pensare che lo abbia fatto in malafede o che sia semplicemente un coglione? Poi riflettendo, ci scappa di pensare che i coglioni, difficilmente trovano collocazione in certi uffici e così, non ci resta che perseguire la via della malafede.

Dai giudici Silvia Capone e Filippo Mario Gagliano, arriva la dichiarazione in sentenza: “Non può ignorarsi che nel caso di specie, i rapporti tra il Comune di Riace e la Presidenza del Consiglio dei Ministri nell’attuazione del progetto di accoglienza sono stati regolati dalla convenzione del 27 luglio 2011, che all’art.9 prevede la corresponsione della cifra forfettaria giornaliera per ospite assistito comprensiva di Iva nella misura del solo 4%”.

Va considerato che se fosse stata maggiore l’Iva, gli importi dati al Comune di Riace non sarebbero stati sufficienti per fornire accoglienza. Un’altra ovvietà che evidentemente qualcuno non ha valutato operando con disinvoltura al proprio ufficio. I maligni dicono che tutta ‘sta montatura serviva solo per affossare Lucano e la sua politica d’accoglienza. Un modello preso ad esempio in Europa e che evidentemente ha dato fastidio a una certa destra.

Continuando a leggere le motivazioni della sentenza, si apprendono le considerazioni dei giudici: “le somme erogate assicuravano, solo ove limitata l’imposizione Iva nella misura agevolata del 4%, la copertura della spesa necessaria per ospitare i 130 ospiti previsti dalla convenzione, mentre esse sarebbero state insufficienti in caso di Iva ordinaria al 21/22%”.

E con questo abbiamo archiviato la pratica dell’evasione fiscale (presunta) del sindaco Lucano. Ora sarebbe bello archiviare certe decisioni in merito a rimozioni di cartelli che turbano i sonni tranquilli di certi pseudo-amministratori che passano sopra il sentimento cittadino, anteponendo i propri dogmi politici alle ragioni del cuore, del sentimento, del bene comune e della civiltà.

 

Pubblicato da Giorgio Consolandi

Giorgio Consolandi – Romano di nascita, apolide per istinto. Impegnato ideologicamente per il sociale, sento forte da sempre il dovere del perseguimento della giustezza e la difesa dei deboli. Contrasto con ogni mezzo i soprusi, sebbene consapevole che il concetto di società perfetta, rimarrà utopico. Ateo, perché rifiuto il concetto di creatore, pongo l’uomo al centro dell’universo e lo rendo responsabile delle sue scelte. Mi interesso di politica poiché credo sia necessaria una visione ampia di tutte le attività umane e della regolamentazione di esse, sono tuttavia consapevole della fallibilità e dell’imperfezione della politica, più che disilluso, continuo ad essere un sognatore, e lotto perché i sogni si concretizzino. La scrittura come forma espressiva del pensiero ed il pensiero come strumento motore della scrittura mi inducono a raccontare le mie analisi personali, le critiche, le esaltazioni, le allucinazioni ed i miraggi che la vita mi infligge senza compassione e senza chiedere permesso. Se cade il mondo io non mi sposto, cerco invece, in un esercizio vano e disperato, di trattenerlo ancorato alla logica ed alla ragione, al sentimento ed all’amore, ma sono sempre più solo. Sostengo ed attuo la difesa degli animali, la loro tutela contro inutili sofferenze ed abusi. Sono figlio degli anni ’60 e ne porto addosso le emozioni e le pulsioni che la mia generazione ha ricevuto. Ho coscienza di far parte di un segmento storico, giudicato con impietosa severità da chi ci succede. La mia generazione ha prodotto contraddizioni morali, etiche, religiose e anche sociali, ma ha determinato la crescita del Paese. I miei J’accuse sono sassi gettati nel lago, lo so che qualcuno è sempre pronto ad accodarsi alla lotta, ne sono convinto!