Il delitto si consuma al Palazzo dei Congressi all’EUR a Roma e l’assassino non è il maggiordomo, quello che invece appare certo è che le vittime potrebbero essere due: M5S e FdI. I buoni, tutti al centro, e i cattivi, anzi i populisti e i sovranisti, dietro alla lavagna.
Letta tende la mano ma Calenda pone il paletto ai 5Stelle
Enrico Letta propone a Calenda di governare insieme dopo il 2023, ma l’ex ministro dice chiaro che la forza di centro-progressista non può includere il Movimento 5 Stelle. Precisa poi: “Non dialoghiamo e non accettiamo il confronto con M5s e FdI”. La replica del segretario Dem non c’è, non è pervenuta, resta a galleggiare nell’oblio del “che me conviene fa’?” Un silenzio (asenso?) che destabilizza i pentastellati che tra l’latro sono impegnati nella guerra intestina che rende sempre più friabili gli equilibri interni.
L’odio (politico) di Calenda
Il leader di Azione si spinge oltre, afferma senza mezzi termini che i pentastellati “hanno inquinato la politica italiana”. Aggiunge che “sono un disvalore per l’Italia”. Poi rivolgendosi a Letta dice: “vincere insieme le politiche del 2023 è possibile ma a una condizione che lui sa: che non ci sia il M5S”.
Calenda parla di disvalore di soggetto inquinante per la politica, riferendosi al Movimento 5 Stelle, ed è comprensibile il livore che quest’uomo viva, verso chi ha ridisegnato certi schemi “parafurbi” di politica asservita agli interessi. Alcuni maligni hanno detto che in certi tratti somiglia perfino a Renzi. E l’evocazione della figura mitologica “Calenzi” in effetti un po’ di raccapriccio lo suscita!
Il progetto del “tutti dentro” e fuori i “rompicoglioni” in fondo ha sempre funzionato, e il popolo non è sia poi così selettivo. Preferisce anzi, affidare il giudizio e la critica agli sfoghi da tastiera, mentre guarda una partita o ascolta canzoni di Sanremo.
Dentro il Movimento
I sostenitori di Di Maio, sull’eventuale rottura giallorossa, già puntano il dito sulla conduzione di Conte nella corsa al Quirinale, colpevole, secondo loro, di aver bruciato una candidatura eccellente. Anche tra i contiani svaniscono le aspettative del consolidamento di un’asse con i Dem. E pensare che l’ex segretario Nicola Zingaretti, indicava proprio in Conte il leader dei progressisti, ma erano altri tempi, ormai lontani anni luce.
Le tante anime dei pentastellati
L’indebolimento dell’attuale prima forza politica dell’Arco Costituzionale è figlia delle politiche avverse che non sono state arginate da un Movimento appagato e galvanizzato dai consensi popolari. Un Movimento che ha smesso di controbattere, di scendere in piazza, di vivere tra la gente, ma si è vestito dell’autorevolezza istituzionale, quasi formale! La flessione però è anche l’effetto e dei politicanti spodestati dai loro ruoli di privilegio in seno alla macchina delle istituzioni, a vario grado. Costoro non si sono dati per vinti ed hanno improntato campagne diffamatorie facendo proselitismo in ambienti idonei alla compravendita cerebrale.
Il crollo verticale è tuttavia anche la logica conseguente ad una distruttiva campagna di gruppuscoli interni, una sorta di clan dalle appartenenze più o meno influenti, che hanno di fatto provocato crepe nel sistema Movimento. Malcontenti suscitati da disattese conclamazioni protagonistiche e da posizioni ideologiche integraliste. Fino ad arrivare allo scossone finale del ricorso alla magistratura per delegittimare il presidente, lo statuto, e in fondo, il M5S stesso, che non riuscirà a produrre l’effetto fenice, non più!
La vetta più alta della disfatta
C’è sempre spazio per il peggio, e questo lo sanno anche quelli del Movimento che s’apprestano alle elezioni comunali di giugno col cuore infranto dalla solitudine. Il prossimo 13 marzo a Napoli, saranno presenti (per il momento) con un logo diverso da quello ufficiale. Avranno il vessillo che reciterà: Territori in Movimento, un bel gioco di parole che tuttavia non lenisce la pena. Ma col tribunale che congela lo statuto e con “troppa carne al fuoco“, meglio non rischiare! Le elezioni del sindaco a Como vedranno il M5S in corsa da solo, mentre il centrosinistra con Italia Viva e Azione saranno dall’altra parte.
Sparire o ricostruire
Dal successo elettorale del Movimento ad oggi, si sono avvicendate previsioni sulla sua morte politica per ragioni diverse, motivazioni fantasiose, addirittura fantapolitiche. Eppure malgrado i venti forti e la tempesta che mai ha smesso di imperversare, il Movimento ha tenuto. I luoghi comuni hanno riempito le pagine dei social e non sono mancate le varie “Cassandra” che hanno previsto finali ignominiosi per i sostenitori dell’onestà.
Lo scossone al Paese, alla fine però, lo hanno dato proprio loro, infliggendo danni ai professionisti della politica, quelli che con essa ci mangiano. La rivoluzione c’è stata eccome! Anche se il gregge nega e ricerca peli nelle uova e aghi in pagliai confusi e strumentalizzati dagli spodestati dal privilegio. Ora il bivio è solo uno: ricompattarsi o svanire in un atto di eutanasia politica che lascerebbe un vuoto enorme. Sarebbe la resa alla vecchia politica che riprenderebbe il controllo.
A Calenda piacendo, per quel sentimento pluralista che pervade le menti lucide, appare logico sperare che il Movimento 5 Stelle sappia dare la spinta necessaria a se stesso e ricucia gli strappi, sanando incomprensioni e malumori. Il Paese privato di una forza politica che al momento rappresenta una buona fetta degli italiani, apparirebbe impoverito, e chissà che tutto questo non lo comprendano anche quelli del Pd.